Al secondo mandato come sindaco, Beppe Sala sembra voler spogliare Milano dei suoi tratti distintivi. Guardare troppo fuori sta portando Milano fuori di sè?
Non è Londra, né un paesino di provincia: caro SINDACO, non TRADIRE l’IDENTITÀ di Milano
# La smania di copiare aspetti di città estere
Il secondo mandato di Beppe Sala come sindaco di Milano è appena iniziato, ma uno dei tratti distintivi pare essere sempre di più quello di voler importare a Milano pezzettini di città straniere, perdendo per strada al contempo luoghi e caratteristiche distintive della città. Gli esempi sono numerosi.
L’Urbanismo tattico che a New York ha dato colpi di pennello, a Milano è dilagato uniformando piazze di quartieri molto diversi tra loro al medesimo cliché. Che poi, senza adeguata manutenzione, spesso è passato da colore a degrado.
Non è un mistero poi che le multinazionali straniere abbiano trovato nell’attuale amministrazione una corsia preferenziale per i loro investimenti. Atteggiamento contrario riscontrato invece nei confronti di piccole attività milanesi DOC, spesso esercizi storici quasi costretti a chiudere, privando Milano di locali assimilabili a monumenti: cosa che invece non accade ad esempio a Parigi dove vige una tutela quasi esasperata in difesa delle botteghe tipiche della città.
Ma l’elemento più di impatto che scatena la passione dell’amministrazione attuale è sicuramente la mobilità sostenibile. In nome di un fine nobile, migliorare la vivibilità della città, si sono abbozzate ciclabili spesso a sproposito, scollegate e non curate, con il risultato di restringere le carreggiate e, spesso, di portare ciclisti e monopattini comunque a preferire il più sicuro manto stradale, se non il marciapiede. Spesso si è presa solo un lato della medaglia di città estere presentate come modello: ciclabili ma non tunnel e parcheggi per le auto, divieti alla circolazione ma senza potenziamento dei mezzi pubblici o agevolazioni negli abbonamenti, multe ma non incentivi o forme di cooperazione.
Il risultato è che la sensazione è che su questa strada Milano stia perdendo i suoi tratti distintivi diventando la caricatura di queste città (stato), senza mai aprire un confronto schietto e sincero con i modelli amministrativi delle altre metropoli che potrebbero realmente rivoluzionare Milano, rendendola più bella, forte e competitiva.
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# Gli standard al ribasso
Oltre a prendere solo pezzettini di altre città straniere rinunciando a dotare Milano del loro stesso potere, la politica di Sala sta commettendo un altro delitto immorale: portare Milano a una mediocrità peninsulare.
Troppo comodo fare i ganassa e ostentare le eccellenze create all’ombra della Madonnina, finché il termine di paragone è solo l’Italia. Inutile confrontare il prestigio del capoluogo lombardo con le città che ottengono risultati inferiori perché, a furia di gareggiare verso il basso, calano tutti gli standard.
Anche quelli di Milano.
Che, infatti, sta diventando un posto qualunque del panorama geografico italiano, solo con i grattacieli e lo skyline. Come un paesone americano, insomma.
Ma quali sono le peculiarità che Milano sta perdendo?
# Dagli 88 quartieri alla città policentrica, dall’accoglienza all’Area B
Non ci sono più Lambrate o Villapizzone, niente più Taliedo e l’Arzaga. Solo qualcosa e qualcuno a 15 minuti di distanza dalla “Milano policentrica”, che potrà anche sembrare uno slogan d’effetto ma che in realtà con Milano non ha parentela.
Milano Quartieri è un anonimo piano che Palazzo Marino porta avanti stancamente scollegato dalle realtà territoriali. Nella frenesia del politically correct i quartieri non vengono mai nominati, sono diventati tutti delle cellule di un tessuto un po’ più grande: gli anonimi Municipi numero… (pensa un numero tra 1 e 8 per ottenere il risultato).
Il capolavoro, poi, è l’Area B.
A parte la violenza dei cartelli con telecamera piazzati all’ingresso di Milano, la B è esattamente il simbolo del suo valore: una cosa da serie B.
Milan col coer in man che accoglie e non discrimina, mette dei poderosi buttafuori per fare selezione all’ingresso. Invece di aprirsi al suo grandioso territorio che rappresenta una delle unicità internazionali di Milano, quest’amministrazione ha deciso di chiuderla dentro suoi confini, come un fortino.
# Modello Italia
Sala ha avuto modo di ribadire più volte quanto, a suo parere, il modello Milano non può in alcun modo essere “esportato” alle altre città, semmai si può replicare su scala nazionale.
Peccato poi che alle parole seguano dei fatti che rappresentano l’esatto contrario: Beppe Sala prende il modello qualunque e provinciale dell’Italia e lo applica (male) a Milano.
Da La dama di Picche e il direttore Gergiev, all’imbarazzante empasse in cui si è infilato con lo stadio-sì stadio-no, ai clamorosi comunicati sulla linea blu (salvo ritardi), Sala non ha mai parlato fuori dal coro, diventando forse l’uomo politico più allineato con il cosiddetto mainstream, che poi significa dire quello che suona figo.
Parlare da milanese significa invece promuovere una città libera per i suoi cittadini e anche un po’ menefreghista nei confronti della politica romana. Non subalterna o prona davanti ai grandi poteri.
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#La regola d’oro del bravo sindaco di Milano
Eppure c’è una regola d’oro da rispettare per essere un eccellente sindaco di Milano. Una sola.
Il sindaco di Milano non deve fare un cazzo: deve lasciar fare ai milanesi. Le idee arrivano dal tessuto della città. Come inquilino temporaneo di Palazzo Marino deve solo mettersi al servizio, con umiltà, della sua comunità.
Possibilmente senza ostacolare chi crea valore e ricchezza, senza assecondare troppo i «distruttori di finanze e nati stanchi» (cit.) o addirittura cancellare l’identità, la tradizione e la storia di Milano.
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LAURA LIONTI
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