Uno dei grandi misteri è perchè Milano, la capitale morale, non sia mai stata in grado di esprimere una leadership politica all’altezza del suo ruolo di motore del Paese. Se ci pensate è incredibile. Qui sono nati alcuni dei più grandi movimenti politici nazionali, nel bene e nel male. E’ nata la Lega Nord, Forza Italia, il Fascismo, la Democrazia Cristiana, il Socialismo italiano, pure il Movimento 5 Stelle che ha avuto la luce negli uffici della Casaleggio e Associati. Movimenti, partiti, ideali ma di grandi leader ne abbiamo prodotti mezzo. Forse l’unico di una certa levatura è stato Craxi, però anche lui è stato assai contraddittorio e le luci sono almeno pari alle ombre, così come benefici e danni arrecati al Paese sono sullo stesso piano. Perchè dei grandi leader politici italiani, statisti come De Gasperi, Einaudi o anche come Ciampi, Berlinguer, Giolitti, Cavour, Sturzo, nessuno è frutto di questa città? Ho trovato cinque possibili motivazioni.
Perché i MILANESI non riescono ad esprimere una LEADERSHIP all’altezza?
#1 Una cultura troppo mercantile
Milano è città di lavoro, di realizzazione ma, ammettiamolo, soprattutto di sghei, di soldi. “Il denaro è un bravo servo ma un cattivo padrone” diceva Papa Leone XII, non a caso romano. Forse i milanesi, e in generale i lombardi, il denaro lo vivono più come un padrone che come servo, un monarca assoluto capace di condizionare intere esistenze.
Per Aristotele ogni essere umano per vivere in modo compiuto deve alimentare la sua dimensione privata e quella politica, intesa come servizio alla comunità. Forse a Milano siamo bravi nella dimensione privata ma tendiamo ad alimentarla così tanto che anche quella politica finisce per esserne parte. Non è un caso che quasi tutti i leader politico di un certo spessore in Lombardia siano spesso scivolati sul tema del denaro, come Craxi o Formigoni.
#2 Poca fame di potere
La politica in Italia richiede artigli, furbizia e fame, tanta fame di potere personale. Forse in Lombardia chi ha fame decide di intraprendere un’altra strada, quella della fabbrichetta, della finanza, del business. Per il lombardo potere è denaro, denaro è potere. Al massimo la politica la si usa. Questo forse il modo di pensare di molta classe dirigente locale.
#3 La politica non è un mestiere
Ofelè fa el to mesté, “Pasticciere, fai il tuo mestiere”, è un noto detto di queste parti. Il lombardo tendenzialmente ha pochi grilli per la testa, vede il mestiere che svolge come la sua stessa identità, non c’è spazio per quei lavori che non sono considerati dei veri lavori. In Lombardia anche chi svolge impieghi creativi, come l’attore o lo scrittore, viene giudicato con sospetto, figurarsi chi fa politica. Forse più che altrove c’è diffidenza nel politico proprio perchè viene visto come una persona che non ha un vero mestiere e che campa sulle spalle di altri. Una cosa inconcepibile per chi vive qui.
#4 Siamo “Meneghini”, troppo abituati ad adattarci al potere di turno
Una delle grandi forze dei milanesi può rivelarsi politicamente una grave debolezza. I milanesi sono dei gran lavoratori e sono capaci di servire e soddisfare le esigenze di chiunque. Questo deriva da secoli in cui a Milano si sono alternate ogni tipo di potenze, spesso straniere. Hanno qui dominato romani, longobardi, austriaci, spagnoli, imperatori tedeschi, francesi e chi più ne ha più ne metta. Ma qualunque potere ci sia stato i milanesi sono riusciti a prosperare, servendolo senza umiliarsi. Però per diventare dei leader politici o, per dirla in modo popolare, dei “padroni a casa propria”, servono altre qualità. Qualità che però sono state frustrate dalla storia (vedi punto successivo).
#5 Quando ci siamo ribellati le cose sono finite male
Di rado i milanesi si sono ribellati. Il vero problema è che quando hanno provato a farlo, le cose sono finite male. Il più grande massacro della storia di Milano è nato da un atto di ribellione. Quando nel 539 i milanesi osarono opporsi ai Goti, la città venne rasa al suolo, anche per colpa del mancato intervento delle truppe romane. Anche fugaci vittorie come quella su Barbarossa o quella delle Cinque Giornate, si sono alla fine rivelate delle vittorie di Pirro, ancora una volta nel caso della lotta agli austriaci per un tradimento esterno, quello dei Savoia. Forse dopo tutti questi schiaffi si è smarrita ogni capacità di rivolta all’ordine precostituito o al potere dominante. Una capacità che sarebbe quanto mai utile ai nostri giorni.
Leggi anche: Il tradimento delle cinque giornate e il massacro dei Goti
ANDREA ZOPPOLATO
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