Da ormai 10 anni non vivo più a Milano eppure riesco a rivivere attraverso i ricordi le memorabili serate degli anni ’90. Come questa.
Una TIPICA SERATA MILANESE negli anni ’90
# Corre un freddo novembre dei primi bellissimi anni ’90…
Corre un freddo novembre dei primi bellissimi anni ‘90. A Milano ancora non si parla di mani pulite, di corruzione, di processi e di concussioni con la mafia. Forza Italia è ancora solo un progetto nella testa di un grosso costruttore edile milanese che prenderà a spallate il sistema politico e mezz’Italia. La città è ancora un po’ quella da bere, quella della nebbia e delle insegne in piazza Duomo e dei Burghy che, da lì a poco, inizieranno a chiamarsi Mac Donald.
Corso Como è un posto ancora molto figo (cool direbbero i millenial con i pantaloni aderenti e risvoltinati oggi), e, all’incrocio con la Stazione Garibaldi c’è un grande posteggio sterrato che, quando piove, diventa parecchio fangoso. L’orizzonte a destra del posteggio è libero e, poco lontano, c’è il fumoso e ferraginoso profilo delle vecchie giostre delle Varesine. La stazione è un posto poco raccomandabile, tappa finale dei notissimi puttan-tour celebrati negli anni a venire da magliette a tema e racconti al limite del paradossale.
Il Casablanca non esiste, il trip-hop e il chillout sono parole identificabili solo grazie a pochi gruppi che arrivano via cassettina o cd dall’Inghilterra. Gli Oasis sono cosa per i pochi che hanno in casa i 33 degli Stone Roses e degli Happy Monday. Sono ancora gli anni ’80 fondamentalmente, solo inzuppati nella luce azzurrata della new age e dei nuovi video musicali di MTV. Giulio sta a non so che anno della Bocconi e io sono in licenza 36 ore dalla caserma del Reggimento Piemonte Cavalleria di Trieste.
# Siamo ben vestiti: ex paninari riconvertiti in puzzolente Barbour, maglioncino blu e camicia colletto azzurro…
Siamo ben vestiti: ex paninari riconvertiti in puzzolente Barbour, maglioncino blu e camicia colletto azzurro, 501 sopra le Stan verdi d’ordinanza.
Posteggiamo la sua Uno LX a 6 casse tra un mare di altre auto, lasciamo i giacconi nel bagagliaio e con salti acrobatici tra una pozza e l’altra arriviamo all’ingresso del Loolapaloosa. All’esterno non c’è molta coda (mentre davanti all’Hollywood è già casino) e riusciamo ad entrare al volo in questo fantastico pub tipico inglese dai tavoli in legno e dal lungo bancone sovrastato da lampade a pendenti in ferro.
Non ci sono luci strobo, non ci sono faretti colorati, la musica pompa a 10.000 watt ma, per fortuna, non è il solito tunza-tunza da rimbecillimento discotecaro: rock di quello ballabile, primi accenni di trip-hop, pezzi di cartoni animati, rap (non era ancora hip-hop) e una selezione di tutto quello che avreste voluto avere in macchina appena partiti per un viaggio glorioso, quando ancora si cantavano a squarciagola canzoni eroiche.
# E poi c’è la vera nebbia inglese…
E poi c’è la vera nebbia inglese. Sì perché all’epoca non ci si dovevano gelare le mani per fumarsi una sigaretta. Il locale, che deve avere un impianto di areazione pari a quello del bagno di un treno, è pervaso da una nebbia densa e profumata di “stizze”, birra e aggregazione umana. Per qualche strano magnetismo c’è gente “bella”, di quella che se gli arriva uno spillo di birra sul maglione di R.L. non ti guarda male per aspettarti fuori. Si salta tutti assieme come scemi e si canta a squarciagola ogni stupidissimo pezzo che va sul piatto (ci sarà stato un dj o saranno stati cd è un mistero che ancora non ho dipanato, così come non so ancora di che colore e materiale sia il pavimento). Le cameriere fanno del loro meglio per prendere ordini che forse non arriveranno mai o che verranno declamati quando il barista prepara il vassoio e lo appoggia in posizione poco strategica sulla destra del bancone. Le ragazze sono carine e sorridenti o, alla peggio, si fanno i fatti loro. A sinistra dell’ingresso possono ballare sui divanetti e svettare su tutte le teste dei sudati avventori. E’ un tripudio di camicette azzurre, maglioncini blu, vestitini leggeri svolazzanti e sguardi sornioni di chi crede d’aver capito
come gira la vita già a 16 anni.
# Verso le due riusciamo ad abbordare un paio di ragazze bionde…
Verso le due riusciamo ad abbordare un paio di ragazze bionde mooolto carine e divertite/divertenti. Ci spacciamo per piloti di linea inglesi (balla più grande e meno credibile non c’è più venuta da allora) e iniziamo la ben brevettata conversazione in finto italiano stentato infarcito di inglese che sembra funzionare perfettamente, anche se ci avranno sicuramente sgamato quando, all’arrivo di Maria degli Articolo, abbiamo cantato dalla prima all’ultima strofa.
Da lì a poco sul bancone vengono tirate su tre tipe (Ballerine? Pagate dal locale? Boh, mai capito anche perché succedeva praticamente ogni venerdì e sabato sera) che su “Mad About You” degli Hooverphonic vengono spogliate a reggiseno e jeans da quei due geni dei baristi. La serata prosegue con qualche pomiciata con le nostre nuove amiche e la tentazione di lasciar loro un vero numero di telefono (tentazione che il mio prode amico riesce a sventare all’ultimo), un sacco di birra e ancora un sacco di bella musica…. Alle 3 passate usciamo dal locale salutando baracca e burattini nel freddo denso e nebbioso di Milano, le orecchie piene e ovattate dall’esubero di decibel.
# C’è il tempo di un hot-dog dal pochettaro che sosta con il suo furgone al limite del posteggio…
C’è il tempo di un hot-dog dal pochettaro che sosta con il suo furgone al limite del posteggio. Chill-time e l’ultima sigaretta fumata fuori dalla macchina nel silenzio rotto solo dal rullante e dalle casse dell’Holly che arriva attraverso le porte semi aperte alle nostre orecchie stordite.
Recuperiamo la Giulio-mobile e torniamo a casa puzzolenti come due posaceneri, pieni zeppi di birra e stra-felici per una delle tante memorabili serate milanesi anni ’90, quando il Loolla era un posto figo dove sui piatti girava un groove ballabile e le ragazze erano carine e disinvolte, quando all’Hollywood c’erano le modelle uscite dagli shooting di moda e il mondo sembrava più semplice e molto molto meno connesso di oggi.
Grazie Milano, grazie anni ’90.
Continua la lettura con: 10 differenze della Milano di oggi con la Milano degli anni novanta
MARCO CECCHI
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