“Una figura eccessiva e inquieta”. Uno degli artisti più controversi dei primi trent’anni del secolo scorso.
Adolfo WILDT, l’artista “eccessivo e inquieto”, alieno di avanguardie e conformismo
# Una figura eccessiva e inquieta
Uno degli artisti più controversi dei primi trent’anni del secolo scorso e, ancora oggi, per gli addetti ai lavori, rappresenta una figura eccessiva ed inquieta, capace comunque di rendere plastiche le proprie emozioni, donandoci opere che spaziano dell’ellenismo al manierismo, passando per il Barocco. Parliamo dello scultore Adolfo Wildt, nato a Milano il 1° marzo 1868 e deceduto, sempre nella nostra città, il 12 marzo 1931.
# Inizia come garzone da un barbiere
Il cognome tradisce lontane discendenze svizzere, la sua era però una tipica famiglia umile meneghina, col padre, Adamo, portinaio a Palazzo Marino, dai tempi in cui la sede del nostro Municipio smise di essere la casa del Governo provvisorio della Lombardia. Dopo aver ultimato la terza elementare, Adolfo fa il garzone da un barbiere, poi gli tocca trasportare carbone, per passare alla bottega di un artigiano marmista. E’ qui che impara la capacità di levigare le superfici in marmo, attitudine che diventerà il proprio punto di forza.
I suoi soggetti riconducono spesso al simbolismo internazionale e per Wildt la scultura rappresenta sempre il dialogo con la materia. Un artista dimenticato per anni: lo scoprì (anzi, ri-scoprì) Paola Mola, milanese anche lei, dottoressa in Lettere e Filosofia, capace di far rivivere la figura di Wildt attraverso accurati studi del rapporto tra la storia dell’arte e la filosofia estetica. Proprio sulle solidi basi di questi approfondimenti, emerge un Adolfo Wildt coltissimo ed estremo nel virtuosismo, alieno dalle avanguardie e riluttante nell’aderire al conformismo di quel periodo del novecento, che attraversò con le proprie opere. Artisticamente lo possiamo definire un solitario, “vittima” (ovvero penalizzato) dell’essere stato anche uno scultore funerario, una personalità schiva e di poche parole. Dopo la caduta del regime fascista, le sue opere e la sua memoria rimasero nel buio, anche per le sue vicinanze verso la dittatura di Benito Mussolini, del quale scolpì anche una testa e, dei gerarchi, alcuni busti.
# Allievo di Grandi
Tornando indietro, a quando il tredicenne Adolfo entrò nella bottega di uno scultore, c’è da sottolineare che il suo maestro fu Giuseppe Grandi, artista della tarda Scapigliatura, nel cui laboratorio si respirava aria di quel passaggio tra il realismo e lo sperimentalismo scapigliato, dove le superfici delle sculture in marmo passano dall’essere precise e levigare a ruvide e irregolari.
Lavorando per Grandi, Wildt è sedotto dal marmo, vuole studiare arte, malgrado i soldi siano pochi. Frequenta la Scuola Superiore d’Arte Applicata, che trasforma in tecnica consapevole il suo istinto e il suo ingegno. Alla fine degli anni novanta dell’ ‘800, Wildt espone anche all’estero, incontrando il parere favorevole degli appartenenti alla Successione di Monaco, ovvero la manifestazione di dissenso di pittori e scultori, i quali si opponevano alle rigide dottrine delle accademie e delle organizzazioni ufficiali.
Tra le principali opere di Adolfo Wildt, troviamo “Vir Temporis Acti (Uomo antico)”, un autoritratto denominato “Maschera del dolore”, il “Ritratto di Margherita Sarfatti”, una delle più importanti critiche d’arte di tutti i tempi, poi il busto di Pio XI, quello di Vittorio Emanuele, di San Francesco, l’opera “Maria dà alla luce pargoli cristiani”, “Carattere fiero – anima gentile” e la trilogia “Il Santo, il Giovane, il Vecchio”.
Morì a 63 anni per una polmonite: in quel periodo si era trasferito ad abitare in via Pasquale Sottocorno, strada che alcuni anni fa fu reinventata dall’architetto Francesca Vecchioni, figlia del popolare Roberto, per renderla a misura di dehors all’aperto.
FABIO BUFFA
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