Simbolo della milanesità in epoca postmoderna, un’icona di quella cultura meneghina guascona e spavalda, poco propensa al risparmio e molto indirizzata al guadagno.
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Guido Nicheli, in arte Dogui, il cumenda del cinema
# Uno dei più popolari caratteristi del cinema italiano, che nasce come odontotecnico
Parliamo di Guido Nicheli, in arte Dogui, ma anche Bubi, oppure “il cumenda”, uno dei più popolari caratteristi del cinema italiano, capace di passare da un sicuro e remunerativo lavoro di odontotecnico, all’incerto mondo dello spettacolo, con l’arma della battuta ironica e della simpatia. Nicheli nacque a Bergamo il 24 luglio 1934, e morì il 28 ottobre 2007: ancora bambino venne ad abitare a Milano, in piena Seconda Guerra Mondiale, dopo aver vissuto il dramma della morte del padre e il bombardamento della propria casa. A vent’anni si diploma perito odontotecnico, un titolo di studio che, allora, dava sicure opportunità di lavoro.
# Il Derby Club, l’amicizia con Teocoli e gli incontri con Pozzetto e il regista Vanzina
Svolse però anche le attività di pasticcere e di rappresentate di liquori, un mestiere, quest’ultimo, che gli diede la possibilità di entrare nel mondo dei locali milanesi, in primis il Derby Club: era amico di Teo Teocoli e di altri artisti che esibivano nel mitico contesto cabarettistico della nostra città. Pur non salendo mai sul palco, da cliente era abituato ad intrattenere gli amici con battute e discorsi divertenti, giocando su quella sua propensione a destreggiarsi come il tipico spaccone milanese.
Conobbe anche Renato Pozzetto, Jerry Calà e Stefano Vanzina, in arte Steno, il regista, padre dei fratelli Enrico e Carlo: vista la sua propensione alla battuta e alla comicità, gli venne consigliato di entrare nel mondo delle commedie, ma Guido Nicheli aveva un “difetto”, ovvero era un bel ragazzo. I “belli” non fanno ridere, si diceva allora (ne sapeva qualcosa Teo Teocoli), così l’ormai ex odontotecnico venne ingaggiato per interpretare i fotoromanzi di Grand Hotel.
Nicheli era amante dei viaggi, “come riuscivo ad accumulare una cifra di denaro sufficiente, prendevo e partivo -raccontò in un’intervista di inizio anni duemila- Asia, Brasile, Francia, Spagna…qui conobbi Salvador Dalì”.
# Il Dogui, il cumenda milanese tra cinepanettoni e commedie vacanziere
Fu ingaggiato da Enzo Jannacci per partecipare allo spettacolo “La Tappezzeria”, con i vari Porcaro, Abatantuono, Boldi e Teocoli, degni rappresentati del “Gruppo Repellente”.
Ma, facendo un piccolo passo indietro, ecco che nel 1974 Steno chiama il nostro Dogui per il film “Il padrone e l’operaio”. L’anno dopo è Ugo Tognazzi a volerlo sul set di “Cattivi pensieri”, la commedia erotica che vedeva nel cast altre due icone milanesi come Piero Mazzarella e Beppe Viola.
Poi inizia il sodalizio con Carlo Vanzina, per “Una vacanza bestiale”, “Eccezziunale veramente” e “Viuuulentemente mia”. Ed ecco le pellicole tipiche degli anni novanta, tra cinepanettoni e commedie vacanziere di vario genere: “Sapore di mare”, “Vacanze di Natale”, “Vacanze sulla neve”, “Abbronzatissimi” e, come non citare, “Yuppies-giovani di successo”, in cui Nicheli, nel ruolo del direttore d’azienda, si immerge nel mondo della “Milano da bere” con la naturalezza del cubetto di ghiaccio nel Ramazzotti.
In tutto Guido Nicheli ha lavorato in trenta film (tra il 1975 e il 2007) e in una decina di sceneggiati televisivi, tra cui “Professione vacanze”, “I ragazzi della terza C” e “S.P.Q.R”.
# Ma Nicheli ha sempre recitato in ruoli comici?
No, nel 1985 è il capitano Rossi nel drammatico e struggente film “Scemo di guerra” con un cast che, abituato a ruoli ironici e satirici (Beppe Grillo, Coluche, Franco Diogene, Sandro Ghiani e Gianni Franco) in questa pellicola di Dino Risi seppe esprimere un livello di drammaticità estremamente efficace.
Gli ultimi diciassette anni di vita Nicheli li visse in una casa nella campagna di Bereguardo, quasi a voler ritagliarsi un periodo di relax nella tranquillità della riva sinistra del Ticino, dopo tanti anni di vita, dicendola alla Vasco Rossi, esagerata.
Non ebbe figli, ma tre nipoti a cui regalò affetto, aneddoti e il libro di Fantozzi, come monito alla consapevolezza di quanto sia sottile il confine tra l’essere il cumenda di successo pieno di donne a bordo del Mercedes-Benz R 107 e lo sfigato ragioniere che guida la Bianchina.
FABIO BUFFA
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