“Ho sempre lavorato di sottrazione, alla ricerca dell’essenziale, perché ritengo che lanciare chiari messaggi visivi sia una cosa molto potente”, ci racconta il giovane designer Leonardo Talarico (Milano, classe 1988). Siamo negli spazi del Superstudio Più di via Tortona, il grande hub da vent’anni portavoce di innovazione e creatività (con la direzione creativa di Gisella Borioli e l’art direction di Giulio Cappellin), una delle tappe obbligate del Fuorisalone 2023. Talarico è una delle Stars of day, la mostra collettiva a cura di Giulio Cappellini che presenta dieci nuovi protagonisti contemporanei del progetto, non emergenti ma già affermati.
MILANO e il FUORISALONE presentati da LEONARDO TALARICO, nuova stella del DESIGN MILANESE
Mdf Italia, Tod’s, Mercedes Benz, Alcantara, Cappellini, Ceramica Flaminia, HenryTimi, Living divani, Trussardi casa sono alcune delle aziende con cui il designer milanese collabora, accanto al recentissimo progetto del brand che porta il suo nome, in un’esperienza fra design e arte. Talarico ha spaziato anche nel fashion realizzando una limited edition di mocassini uomo per Tod’s ed una collezione di borse limited edition per l’azienda Up to You Anthology. Il suo tratto distintivo? Un design dalle linee nette e rigorose, sorprendenti nella loro (apparente) semplicità. Un minimalismo colto e denso di significato. Immediatamente riconoscibile. Due esempi? La lampada Lama disegnata per la nuova prima collezione Icone insieme a Giulio Cappellini (con cui ha già firmato numerose installazioni in giro per il mondo): una scultura luminosa, realizzata con una sottilissima lamiera di metallo, ottenuta dall’intersezione di due coni. La dormeuse Halfmoon disegnata per Trussardi con un segno netto e che richiama, nell’intersezione dei due elementi che lo compongono (struttura in legno e acciaio, rivestimento in tessuto o pelle), il tangram, l’antico rompicapo cinese.
# Il Fuori Salone 2023 vede un calendario di eventi da far girare la testa. Cosa rappresenta per te questo evento?
Una festa di energia e socialità. Strumento fondamentale per creare relazioni e interazioni inedite. È il mio capodanno, il momento in cui si concretizzano tutti gli sforzi fatti durante un intenso anno di lavoro, un palcoscenico per rendere visibile il proprio racconto. Ci si riposa un giorno e poi si pensa al Salone del prossima anno. Per la città di Milano è sicuramente l’evento più atteso e seguito che ha profondamente inciso sulla morfologia urbana e sulla straordinaria evoluzione che, negli anni, ha proiettato la città in una dimensione internazionale, diventando una grande festa urbana. Il design era ancora una cosa da soli addetti ai lavori: ormai invece è un fatto sociale, di partecipazione collettiva. Il pubblico è curioso, ha scoperto che l’ arte può essere parte della vita quotidiana.
# Il tuo nome girava fra le giovani promesse più interessanti nel Fuori Salone edizione 2009, al Temporary Museum for New Design di Superstudio. Ti abbiamo visto crescere. Il file rouge del tuo lavoro in queste anni?
La coerenza, nel senso che io seguo la mia strada e se piaccio bene, se non piaccio Amen. Per me è fondamentale mantenere il mio tratto distintivo, adattandolo allo spirito dell’azienda con la quale mi interfaccio.
# La prima cosa che salta all’occhio, nei tuoi oggetti di arredo, è la pulizia nei tratti, nulla di superfluo e al contempo molto elegante, in controtendenza al design eccessivo e spettacolare di questi anni.
È importantissimo guardare e conoscere tutto ciò che accade e ci circonda, ma mi piace ancor di più lavorare su strade ancora inesplorate. E poi, la parola tendenza è lontana dal mio modo di intendere il design. Penso a oggetti estremi, per andare contro il tempo e rimanere nel tempo. Che siano contemporanei oggi così come tra 20 anni.
# In un mondo sempre più rumoroso e complesso il compito del design e quello di semplificare le cose?
Lo spirito del nostro tempo porta spesso a semplificare, confondendo la semplificazione con l’essenzialità. Chi parla di “semplificazione” il più delle volte si riferisce alla banalizzazione di una realtà complessa, all’appiattimento di differenze e sottigliezze, alla promozione di una soluzione immediatamente pronta. Al contrario, l’essenzialità è andare al cuore delle cose, nel profondo di ogni realtà. Significa fare delle scelte. Stabilire priorità. Credo che la vita sia soprattutto un problema di allineamento delle priorità, e forse fare design è proprio questo: stabilire le proprie.
# Prova a definirti in poche parole…
Molto ambizioso, molto curioso, attento al dettaglio. A volte azzecco tutto, a volte sbaglio tutto. A volte simpatico, a volte antipatico. A volte diretto, a volte incomprensibile, anche per me. Un sognatore ma anche molto concreto.
# Come nasce la tua passione per il design?
Vedendo la passione di mio padre, aveva una carpenteria meccanica, un lavoro di altissima precisione. Mi ha lasciato l’idea che uno dei mestieri più belli che si possa fare è un mestiere che ti appassiona ma per non farlo cadere occorre essere rigorosi.
# Studi?
Ho il diploma di perito industriale, e poi ho perfezionato il mio stile alla Central Saint Martins di Londra, un importante istituto di formazione artistica e di design situato a Southampton, frequentato da persone provenienti da tutto il mondo.
# Cosa c’è dietro la tua scelta di diventare designer?
La volontà di raccontarmi senza usare parole. “Parlare senza parlare” è un concetto astratto che mi piace molto. I miei progetti raccontano la mia storia, il mio modo di guardare il mondo. Attraverso un linguaggio svestito dal disordine, dal superfluo e dall’eccesso.
# Se dovessi spiegare a un bambino l’essenza e la funzione del design, cosa gli diresti?
Il design è il punto di incontro tra estetica e funzionalità. Essenza e funzione che non sempre trovano espressione nel design odierno, dove la pura estetica dimentica talvolta la funzionalità. Il vero obiettivo è entrare nelle case della gente e sono convinto che il design, purché onesto, possa rappresentare qualcosa di utile per la società, creando delle cose che permettano loro di avere una vita migliore e quindi un miglior modo di pensare. Abbiamo visto durante la pandemia quanto “la casa” sia un luogo importante e quanto sia necessario trascorrere il tempo in un ambiente confortevole, bello e flessibile.
# Flessibile, in che senso?
Le case a livello strutturale rimarranno sempre queste, ma poiché passeremo più tempo in casa e comunque lavorando da casa la vivremo in maniera più intensa, dovrà essere più flessibile ma senza rinunciare alla bellezza. Nel senso che non faremo un ufficio in casa, ma magari useremo il tavolo da pranzo anche per lavorare. E allora avremo bisogno di una sedia più confortevole su cui non solo mangiare ma anche passare più ore lavorando.
# Puoi citare un artista, un’opera che ti hanno particolarmente influenzato/ispirato nel tuo lavoro?
Personalmente amo i tagli di Lucio Fontana. La sua sicurezza nell’incidere la tela era imparagonabile. È la volontà di andare oltre, oltre ai limiti imposti dalla superficie pittorica stessa. Fino al suo definitivo superamento. Aprendo una breccia verso un universo parallelo, uno spazio mentale alternativo. Noi spettatori rimaniamo sospesi lì davanti a uno squarcio su un’altra dimensione, ci aspettiamo qualcosa che ancora non sappiamo immaginare.
# Sei solito definire Giulio Cappellini architetto, designer e imprenditore pluripremiato, come il tuo mentore. Lui ha trovato te o tu hai cercato lui?
È stato lui a scoprirmi, è il mio maestro. L’ho conosciuto una dozzina di anni fa durante una fiera, mi chiese di provare a dare un’interpretazione di una bambola in plexiglass, un progetto dell’Unicef per la Galleria Vittorio Emanuele II di Milano. Il mio intervento fu semplicemente una linea, però ben fatta, un semplice tratto che lo sorprese. Ci siamo incontrati e lui ha creduto in me, penso colpito per la passione con la quale descrivevo il mio lavoro. Nel settore del design non basta essere bravi. Oggi è sicuramente più difficile per un giovane emergere, l’asticella si è alzata molto. Oltre al talento ed allo studio, è anche necessario incontrare dei visionari che puntano sui giovani, dei buoni maestri che diventino punti di riferimento senza però lasciarsi influenzare troppo, per poter così trovare un proprio stile che fa la differenza.
# Oltre alle collaborazioni con altre aziende, hai creato il tuo proprio brand.
Volevo potermi esprimere senza compromessi stilistici. È una collezione di complementi per la tavola, realizzata da artigiani italiani, dove ogni tipologia di prodotto è connotata da un materiale: per esempio il metallo per i vasi, il legno per i centritavola, il marmo per i piatti, il vetro per le brocche. Un nuovo concetto di lusso, non più sinonimo di sfarzo e opulenza, ma sintesi di semplicità e rigore delle forme.
# Oggetti scultorei ai confini con l’opera d’arte
Mi piace l’idea che i clienti possano acquistare “un Leonardo Talarico”, come fosse un’opera d’arte, un quadro!
# Dove trai ispirazione per i tuoi elementi di arredo?
Dalla musica, dall’arte, dalla natura. A volte sento una frase, vedo un dettaglio e può scattare qualcosa. Mi appunto ogni stimolo che incontro durante le mie giornate.
# Come ti approcci a un nuovo progetto?
Il punto di partenza per me è sempre il rigore, la pulizia delle linee e allo stesso tempo l’originalità dei dettagli. La purezza per migliorare, il rigore per dare valore agli oggetti. Posso disegnare una borsa, una sedia, uno sgabello, per me la bellezza nel design è la capacità di raggiungere l’essenziale, arrivando a mostrare l’anima di un oggetto. Elimino tutto ciò che non serve, cercando di enfatizzare piccoli dettagli con un tratto molto personale. E non esistono progetti che non si fondino sull’amore. La linea è la traccia dalla quale inizio a concepire un prodotto, su un foglio di carta.
# L’aspetto emozionale?
L’emozione è quella che crea l’oggetto quando viene inserito nello spazio. Il vaso Stems per Cappellini, ad esempio, è formato dall’incrocio di due linee, ma queste non sono casuali: hanno proporzioni ben precise e sono pensate per fondersi con il fiore che verrà inserito. Cerco di disegnare oggetti che siano in grado di cambiare immagine a seconda della prospettiva in cui si trova l’osservatore, così da poter essere percepiti ogni volta in modo diverso. Nella relazione con lo spazio emerge l’emozione.
# Paliamo di materiali. Il tuo preferito?
Amo il metallo per le sue caratteristiche di flessibilità, longevità e affidabilità. Ci immaginiamo il metallo freddo, inerte e pesante. E invece è tra i più trasformisti tra i materiali.
# Quanto conta la sostenibilità?
È un tema fondamentale. Nei miei oggetti non è una componente evidente, ma intrinseca al progetto: lavoro per riduzioni, e questo è già un approccio ecosostenibile.
# Come rappresenteresti con un oggetto la contemporaneità di oggi?
Forse l’oggetto che meglio rappresenta la contemporaneità è l’immaterialità dei social. Anche questo è design. Ridisegnano le nostre relazioni sociali.
# Come immagini il futuro?
Oggi tanti, troppi oggetti creati per servircene si servono di noi, ne siamo diventati schiavi. Mi piacerebbe che tutti facessimo meno, ma facendolo meglio. Perché il mondo ha bisogno di poche cose ma belle piuttosto che tante ma mediocri e banali. Insomma, è doveroso stare attenti alla sostenibilità ma è ora di incominciare a produrre meno cose. Oggetti che nella maggior parte dei casi ne potremmo fare perfettamente a meno.
# Qualcuno paventa che l’intelligenza artificiale prima o poi soppianterà molto lavori fra cui anche quello del designer. Cosa ne pensi?
Io non vedo l’evoluzione tecnologica come uno scenario distopico. Negli ultimi vent’anni mi sembra che molte delle attività degli umani siano state facilitate dalla tecnologia e dagli algoritmi, e che la qualità delle nostre vite sia ampiamente migliorata. La fantasia umana continua a restare un mistero, una magia. Come approccio alla vita, l’unica cosa che mi spaventa è la stupidità. L’intelligenza, naturale o artificiale, non potrà mai mettermi paura anzi nel caso potrà essere da stimolo a un costante miglioramento.
# Qual è il tuo essenziale esistenziale?
Viaggiare, osservare, ascoltare, scoprire, sperimentare. L’attività che preferisco e che mi fa stare bene è passeggiare, mi rilasso. Camminare senza fretta di arrivare è anche esperienza di sorpresa quotidiana: la mente ha bisogno, camminando, di sostare su ciò che vede, rimanendone stupita. I piedi ci possono condurre ovunque. La loro intelligenza primordiale sa trasformare gli impulsi del corpo in immagini della mente, mappe, memoria, conoscenza, attivando i nostri sensi, raffinando la nostra percezione. Più tutto questo è vivo, più siamo liberi. La specie umana non può sostituire l’adesione alla Terra: è un dato biologico, occorre dare spazio al proprio respiro per calibrarsi con ciò che ci circonda, per arrivare a quella formidabile sensazione di comprendere la vastità del mondo e del nostro posto nella sua immensità.
# L’oggetto da cui non riesci a separarti
Una penna Bic nera e un taccuino Muji.
# Qualcosa che hai a casa e che hai disegnato
La libreria Atiha in plexiglass trasparente blu. Il vaso monopianta Stems per Cappellini. Lappendiabito Ombre per Mdf.
# Quante ore dormi
Troppo poco. Da una decina di anni punto la sveglia alle 4:30 di mattina. La cosa che più mi piace di svegliarmi presto è il silenzio, un vuoto pieno di possibilità ancora. Un nuovo giorno, inedito. Ciò che decidiamo di fare oggi è ciò che conta davvero. Sul mio taccuino creo una lista delle cose da fare. E poi faccio il segno della spunta. Quando hai cento cose da fare è un esercizio che ti aiuta a ricordare cosa è importante e cosa è meglio rimandare o addirittura lasciar andare.
Leonardo si assenta un momento per una telefonata. Ne approfitto per fare due chiacchiere con la sua fidanzata Julia Scribani Rossi, giovane fotografa italo tedesca, autrice, in esclusiva, dei suggestivi scatti di scena (rigorosamente in bianco e nero) del nuovo fantasmagorico film La Divina Cometa di Mimmo Paladino (tra i grandi artisti contemporanei, fotografo e scenografo, oltre che grande pittore e scultore). Julia mi racconta che ne sta organizzando una mostra-evento il 3 maggio nel chiostro della chiesa di Santa Maria del Carmine. Dieci ritratti di scena di Ettore Ianniello, che interpreta il pianista Glenn Gould. ” Ho avuto l’occasione di conoscere Mimmo Paladino e di poter stare sul set libera di fotografare ciò che volevo. Ho una formazione nell’architettura d’interni e quindi ho voluto legare la parte architettonica dei set nel loro rapporto con i corpi degli attori (un cast eterogeneo Toni e Peppe Servillo, Giovanni Veronesi, Sergio Rubini, Elio De Capitani, Alessandro Haber, Francesco De Gregori e Nino D’Angelo, ndr). Anche gli spazi rivestono un ruolo importante: ambienti concettuali senza tempo si alternano a campi sportivi, cave, fonderie, grotte, acquedotti. Leonardo torna a sedersi, scusandosi.
# Parliamo di Milano. Ami viaggiare e sei spesso a Londra e New York. Com’è cambiata secondo te Milano?
Si è sprovincializzata ma adesso pecca di autocelebrazione, pensa di essere al centro del mondo.
# L’angolo preferito?
La zona di Brera, con le sue diverse anime: l’anima più antica e bohémien con le viette ciottolate, botteghe storiche che ancora resistono alla ristorazione “acchiappa turisti” che della vecchia Milano hanno conservato ben poco e il lato più innovativo del quartiere, ateliers, showroom di design e raffinate gallerie d’arte. In via Goito recentemente ho progettato il concept estetico per il nuovo showroom di sanitari Insula delle Rose che verrà inaugurato proprio in occasione del Fuori salone: Argento, una scatola interamente argentata e luminosa, con colonne in ghisa verniciate d’ argento in modo da enfatizzare le linee dei sanitari rigorosamente neri.
# Brera District è un altro polo pulsante del Fuori salone. Una grande installazione coloratissima dell’artista Agostino Iacurci avvolgerà la torre in largo Treves, progettata da Arrigo Arrighetti, prossima alla demolizione per dar vita a un nuovo progetto. Largo Treves sta cominciando a cambiare volto?
Stando al progetto di Palazzo Marino, con un piccolo ritocco alla viabilità assumerà l’aspetto di una piazza pedonale con una nuova pavimentazione in cubetti di pietra di Luserna e lastre di granito. Nell’area centrale sarà pianto un platano ad affiancare l’imponente bagolaro simbolo di largo Treves. Sono davvero curioso di vedere il risultato finale.
# Un indirizzo da non perdere per l’arte contemporanea a Milano?
La Galleria Lia Rumma, in via Stilicone, nel 2011 quando l’ha creato la celebre gallerista napoletana Lia Rumma, sembrava fuori zona. È uno spazio entusiasmante, merita una visita anche solo per l’edificio che la ospita, una versione in piccolo del New Museum di New York, Un edificio compatto, monolitico alto come una cattedrale, con un imponente pergolato in ferro che porta alle quattro aree espositive. Un brillante fulcro di idee e di innovazione.
# Il posto migliore dove andare la sera?
Mi piace andare a bere una birra artigianale da Shallo in via Montebello, un piacere che ho scoperto a Londra, frequentando la Cock Tavern, un pub molto carino situato vicino Oxford Street.
Continua la lettura con: Anteprima del FUORISALONE 2023: eventi e installazioni da scoprire
CRISTINA TIRINZONI
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