“Entrò al Parco Sempione da via Mario Pagano, ricordando le parole di Sandra…, la sua amica più cara: un uomo ti aspetta alla terza panchina”. È l’incipit del giallo “L’enigma della Carta di Varese (Guanda noir)” scritto da Domenico Wanderlingh. Madre e figlia vengono trovate morte in un lussuoso appartamento di piazza Giovane Italia. Una madre che si suicida e uccide la figlia? No, no. Troppo semplice. Un nuovo caso (il terzo) per Anita Landi, l’ispettrice di polizia a capo dell’Anticrimine in piazza San Sepolcro. Investighiamo i luoghi più da romanzo giallo di Milano, con Domenico Wanderlingh.
“MILANO si sta trasformando in una DUBAI italiana”: intervista a DOMENICO WANDERLINGH
# Incominciamo dal luogo del delitto. Il palazzo in Piazza Giovine Italia esiste per davvero?
Esiste per davvero. Una sera percorrendo la via ho incontrato questa splendida costruzione, che s’affaccia sulla piazza, costruita agli albori del Liberty. Le finestre illuminate al calare della sera attirano sempre la mia attenzione. E inizio a fantasticare, a immaginare la vita che scorre dentro, su ciò che preparano, sulle chiacchiere intorno al tavolo o in salotto. In ogni finestra illuminata c’è una storia. Pianti, litigi, incomprensioni. Bugie e segreti. Amori e tradimenti.
# Il primo giallo “Il passato non si cancella” l’hai ambientato in Porta Venezia
Abitavo allora in quella zona ed è stato naturale ambientare la prima avventura di Anita in Porta Venezia. Ero, e lo sono ancora, affascinato dal quartiere, dalla gente, dai locali e dalle mille sfaccettature. Esiste un racconto come fondamenta di ogni palazzo e vivono mille storie dentro ogni cortile. Pensiamo all’ex cinema Dumont di via Frisi, alle motivazioni che nel 1908 hanno spinto i fratelli Galli a costruire una struttura liberty studiata appositamente per diventare uno dei primi cinematografi in Italia. Purtroppo il cosiddetto progresso ha trasformato l’edificio in parcheggio (nonostante la raccolta firme dei residenti!), ma almeno è stata salvata la facciata e parte dell’ingresso, ora sede di una biblioteca comunale. E questo è solo un esempio di quello che la città nasconde.
# Dove abiti adesso?
In zona Porta romana. In una palazzina di soli tre piani con un bel terrazzino affacciato sul cortile interno. Nel quartiere c’è ancora il meccanico che aggiusta le moto, il vetraio che non è cinese ma è sardo, il calzolaio, un falegname e Walter, il proprietario del bar tabacchi all’angolo tra via Muratori e via Vasari: è uno che parla solo in dialetto milanese fatico a capire ma è troppo divertente. È una Milano che mi piace.
# Il tuo cognome da dove arriva?
Da un trisavolo olandese che si innamorò di una napoletana. Da Napoli si trasferì in Sicilia. Anche io sono nato a Palermo, poi i miei genitori vennero a stabilirsi a Milano. Avevo tre anni. Sono un milanese ormai di lungo corso.
# Il tuo rapporto con Milano, in tre aggettivi?
Malinconico, sentimentale e fantastico. Malinconico perché la Milano che amavo sta scomparendo. Dove c’era una voltai il luna park adesso ci sono i grattaceli. Sentimentale perché ho un baule pieno di tanti bei ricordi. Fantastico perché la città è fonte inesauribile di ispirazione per i miei gialli.
# Il bello di Milano
Mi ha fatto sempre pensare: qui puoi davvero inventare una vita, il futuro che immagini, anche se oggi forse un po’ meno.
# …e Il brutto?
Si sta trasformando in una Dubai italiana
# Cosa manca a Milano?
Il senso di comunità. Il rispetto per gli anziani. Sui tram non c’è un ragazzo che si alzi a cedere il posto. Il rispetto per le istituzioni. Ricordo che quando da ragazzo scorrazzavo per la citta con la mia Vespa 50 bianca elaborata, senza caso con un amico dietro, e venivo immancabilmente fermato dal ghisa, sapevo di avere commesso un’infrazione e avevo soggezione del vigile. Oggi se un agente ti fa una multa, lo si minaccia e si aggredisce.
# Cosa ti innervosisce?
Le biciclette sui marciapiedi. Vabbè, mancano le piste ciclabili ma i esistono ancora i pedoni.
# Pensando alla nostra città, esprimi un desiderio per un prossimo domani.
Non ho dubbi in proposito, ma non è un vero desiderio, credo sia ormai una necessità. Abbiamo bisogno di luoghi ri/creativi, luoghi creati per un “probabile” dialogo dinamico tra persone. Una piazza non è tale se la gente non la abita. Ormai è accertato che un luogo si trasforma in una “piazza”, solo quando la gente se ne appropria e ne modifica visibilmente la sua architettura. Va ripensata da subito una viabilità cittadina a dimensione della persona.
# Il tuo luogo del cuore?
Il Parco Sempione in particolare la Torre Branca, in acciaio, alta 106 metri, progettata da Gio Ponti. Un opera d’arte per la Milano in verticale già nel 1933. E poi adoro la metropolitana. La Pinacoteca Ambrosiana: il museo della meraviglia, dal canestro di frutta di Caravaggio alla teca con una ciocca di capelli di Lucrezia Borgia, dal Codice Atlantico di Lonardo da Vinci ai guanti indossati da Napoleone a Waterloo.
# Il più bel gesto d’ amore per la città dove l’hai visto
Lo vedo ogni mattina, quando davanti alla sua officina per la riparazione delle moto, Italo pulisce con cura il marciapiede e i tombini.
# L’edificio simbolo di Milano?
La Scala: è il teatro in cui si specchia la nostra grande bellezza emblema della Milano della cultura. Siamo tutti scaligeri. Non si faccia l’errore di concepirla come luogo appannaggio di una elite, a parte la prima di Sant’Ambrogio, dà la possibilità a tutti, dallo studente al pensionato, di andarci a prezzi ragionevoli.
# Locali preferiti?
Al Vecchio Porco in via Messina, soprattutto con la bella stagione, quando si riapre la veranda esterna, dall’ insalata di pere con pecorino sardo all’ossobuco di vitello in gremolada. E Don Gio in via Corio in zona Romana, un ristorante a gestione familiare. Infine, il lounge bar di Alchimia in viale Premuda
Un rito della domenica?
Il brunch scozzese da Salt Food Atelier in via Piero Lombardo
# Come ti muovi per Milano?
A piedi. Camminare fa sempre bene: un regalo quotidiano per la tua salute e le tue tasche, risparmi tempo. Le più belle scoperte di una città si fanno camminando a piedi. In Via Castel Morrone, al numero 7, un giorno alzo lo sguardo e vedo una targhetta, incuriosito leggo: qui ha abitato Umberto Boccioni. Nel modesto palazzo di Via Castel Morrone, il futurista Boccioni dipinse tra il 1910 e il 1911, la sua celebre opera “La città che sale” che si ispira alla costruzione di una centrale elettrica nella periferia di Milano. Il primo capolavoro pienamente futurista che esalta il dinamismo della moderna metropoli. La fede nella tecnologia e nel progresso industriale. Adoro le targhe commemorative che raccontano la città attraverso il ricordo dei principali avvenimenti e protagonisti della nostra storia, dei personaggi che qui hanno vissuto. Chi potrebbe mai pensare che Francesco Petrarca ha soggiornato a Milano per sei anni dal 1353, in via Lanzone 53 dove oggi c’è il collegio delle Orsoline oppure Albert Einstein, in via Bigli 21 come certifica una lapide sul palazzo.
Continua la lettura con: I segreti di Casa Manzoni
CRISTINA TIRINZONI
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“Grattaceli”… brava giornalista.
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