Al Teatro Leonardo (via Ampére, 1) si ride per 80 minuti di seguito con La Cena dei cretini, la commedia esilarante che Nino Formicola insieme a Max Pisu porta in scena fino al 22 ottobre. Classe 1953, protagonista indiscusso della comicità degli anni Ottanta, insieme ad Andrea Brambilla (nel duo comico Zuzzurro e Gaspare), con Drive In, uno show che avrebbe rivoluzionato la grammatica del varietà televisivo, se ne fa un baffo dell’ingratitudine del piccolo schermo. Ci racconta del suo rapporto con Milano e di come la città è cambiata.
NINO FORMICOLA: “Milano? È diventata una REAL ESTATE di case di pregio”
# Dedicato ad Andrea Brambilla (Zuzzurro)
“Oggi per fare uscire di casa la gente devi offrire qualcosa di speciale. La cena dei cretini è un pieno di risate. Ci sono tre anniversari a rendere invece speciale il mio ritorno sul palco del Leonardo. Ho compiuto 70 anni, il 12 giugno proprio quando è morto Silvio Berlusconi e nessuno se ne è accorto. Festeggio 50 anni di carriera ma neppure io me ne sono reso conto e poi (e Formicola diventa serio, ndr) sono dieci anni che è scomparso Andrea. L’abbiamo portato in scena due volte nel 2008 e nel 2010, facendo sfracelli. Abituato da sempre a ragionare per due, dopo la sua scomparsa ho impiegato 3 anni a rimettermi su un palco da solo, psicologicamente rifiutavo di farlo. Adesso sono contento: salgo sul palco con la determinazione e la certezza di sapere che insieme abbiamo fatto spettacoli che hanno lasciato un piccolo segno. E questo spettacolo è dedicato a lui.”
# Non porti più il gel sui capelli
“Mai messo fuori dalla scena. A quei tempi si utilizzava la brillantina o la pomata Tenax, cemento armato che non veniva mai via.”
# Presentarsi come Nino Formicola, che effetto fa?
“È quello che sono. Gaspare non c’è più. Rimane lì, in un angolo, con Zuzzurro. La morte di Andrea Brambilla è stata un duro colpo da superare. Tra noi non c’era la spalla e il comico, funzionava il meccanismo del palleggio, tira la palla contro il muro e l’altro ne coglie il rimbalzo, aggiunge qualcosa e te la rinvia è così passo-passo si riapriva al testo, quello che funziona. E non è un caso se noi siamo l’unica coppia nella storia della comicità a cui cambiavano i nomi. Eravamo Zuzzurro e Gaspare, e ci chiamavano indistintamente Gaspare e Zuzzurro. Eravamo alla pari, interscambiabili.”
# Qual è il segreto di questa commedia che ha successo da più di 20 anni?
“Ogni settimana alcuni amici organizzano una cena dove bisogna arrivare accompagnati da un imbecille totale. Una trama semplice ma di grande impatto comico, come si addice alle commedie più riuscite È una macchina comica perfetta di comicità. Il “cretino” che come un elefante in un negozio di cristallerie distrugge la vita alla carogna che voleva farsi beffe di lui, unita a un risvolto tenerissimo che porta a un finale inaspettato. Ormai siamo abituati a veder un tv quelli che arrivano davanti a un microfono e sparano 25mila battute in tre minuti invece “La Cena dei cretini” è costruita sui meccanismi della comicità: silenzi, pause, sguardi, gag fisiche… Ormai in tv questo non si può fare. A teatro sì. Chi l’ha già vista torni a rivederla, perché questo testo consente ai comici, quella cosa che il pubblico ama di più, l’improvvisazione.”
# Quando hai deciso che saresti stato un comico?
“Un pomeriggio di domenica del 1969 quando mia madre appassionata di teatro mi trascinò con lei al Teatro Nuovo a vedere quattro signori vestiti come dei bachi. Erano “i Gufi”, che facevano Non spingete, scappiamo anche noi. Rimasi letteralmente fulminato da questi quattro attori vestiti di nero capaci di divertire e intrattenere usando soltanto una scala, una sedia e una chitarra. e mi dissi che avrei voluto farlo anch’io. Ed è stato così, ho sempre amato lavorare dal vivo, avere il contatto con il pubblico, sentirne la reazione alla battuta. Cominciai a frequentare il Derby e poiché ero ancora minorenne e non avevo la patente, convinsi mia mamma ad accompagnarmi lei in macchina.”
# Primo palcoscenico
“Il primo teatrino fu quello delle suore Orsoline di via Lanzone dove studiava mia sorella Cocca (Francesca,ndr). Pezzi di Cochi e Renato. L’incasso, dato in beneficienza, andò tanto bene che l’anno seguente le suore ci diedero il salone grande del pensionato universitario. Terzo palco quello del monastero delle Clarisse a Rapallo dove la ma famiglia trascorreva le vacanze: facevo un Enrico Berlinguer che impazziva e si tramutava in Hitler.”
# Quando e dove e come avvenne l’incontro con Andrea Brambilla?
“Ci siamo conosciuti nel 1975, tirando l’alba al Refettorio, il mitico locale gestito da Roberto Brivio, uno dei “Gufi”, nel seminterrato di un cortile di via San Maurilio. Andrea lavorava al Derby ed era capitato lì. Ero in scena insieme ai Licantropi con Garabadenzideck uno spettacolo su un golpe organizzato dai barattoli dei pomodori pelati. Pura follia demenziale. Alla fine della serata, si presenta e mi chiede chi era l’autore. Da lì, cominciammo a lavorare insieme, nel 1976 abbiamo fondato il gruppo cabarettistico La Compagnia della Forca, in omaggio a una serie di fumetti uscita all’epoca, insieme a Marco Columbro e Barbara Marciano.”
# Anni intensissimi
“Dall’80 al ’94. Sembrava di stare su uno scivolo imburrato.”
# Che cos’è cambiato da allora?
“Praticamente tutto. Intanto a Milano c’era la nebbia. Quando uscivi alle tre di notte non ci vedevi una mazza. Poi in quei locali non c’erano solo i comici ma anche i cantanti, i fantasisti. Erano posti per nottambuli dove si poteva cenare, ballare, e soprattutto conoscere altri nottambuli.”
# Sei nato nato a Milano da padre napoletano e madre catanese
“Papà Umberto rampollo di una ricca famiglia di industriali di origine napoletana. Mamma Carmela, ma tutti l’hanno sempre chiamata Liana, era arrivata a Milano da Catania quando era una bambina con la famiglia. Dato che mia nonna lavorava alla Rinascente, mia madre cominciò a fare la modella di abiti per bambine. Bellissima, vinse persino il titolo di Miss Milano. In realtà lei non aveva partecipato al concorso, era andata a vederlo ma il pubblico in sala decise che era lei la più bella a e le assegno la fascia. Venne addirittura contattata dal grande Vittorio De Sica per il film Miracolo a Milano. Nel frattempo si era fidanzata con mio padre che la mise di fronte a un aut aut: o sposi me o fai l’attrice. E mia madre decise di sposarlo. Ma l’amore per lo spettacolo non si estinse mai e forse anche per questo non mi ha fatto mai mancare il suo appoggio incondizionato quando ho deciso di fare il comico.”
# In che In che zone hai abitato
“Sono nato vicino a Piazzale Maciachini. Papà aveva una fabbrica di alimenti per ristoranti a Cinisello e lui voleva stare vicino alla fabbrica, voleva essere il primo ad arrivare, prima degli operai. Mia madre non era molto d’accordo cosi quando si sono separati ho traslocato con mamma in Viale Elvezia in un signorile edificio progettato dal celebre Architetto Marco Zanuso davanti al parco Sempione. La prima casa da single, in Via Durini, poi Corso Monforte, Via Mascagni, Corso Venezia. Sono sempre stato un centrista, poi una decina di anni fa sono andato ad abitare vicino a Piazzale Libia. Non ne potevo più del centro, dove ci sono solo negozi di abbigliamento e non ne trovi uno per comperare una lampadina o un calzolaio per fare risuolare le scarpe in cuoio. Per comprare un etto di prosciutto andavo al bar.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la chiusura del Garage Traversi, la prima autorimessa multipiano della città, aperta h24, a due passi da Piazza San Babila. Quello che dopo anni di abbandono è stato riqualificato per far spazio a un luxury store. Vuitton. Parcheggiare era diventato un incubo e fioccavano le multe. Pochi mesi fa ho fatto la scelta di lasciare la città e sono andato a vivere nell’hinterland, a Peschiera Borromeo e sono molto contento. Mai avrei pensato di lasciarla. Ma da un po’ non la riconosco più. Ma le voglio sempre bene..”
# Come racconteresti la Milano di oggi da cabarettista?
“Era la capitale economica, finanziaria e morale, adesso vende soprattutto metri quadri, è diventata una real estate di chi compra case di prestigio. Una meta turistica, città delle tante week e degli eventi speciali. Una città per ricchi e poveri. Pieno di poveri. Tantissimi poveri. 2.615 aziende e aziendine milanesi hanno chiuso i battenti negli ultimi due anni. Chiudono le librerie sostituite da negozi di paccottiglie. Ha chiuso anche il Teatro Nuovo e arriva Salt Bae: la bistecca vip dell’ex macellaio influencer, impoverendo la città di un luogo di produzione culturale e chiude i battenti in silenzio, nell’indifferenza generale. L’Inter diventa indonesiana. Perfino la pasticceria Cova di via Montenapoleone è stata comprata dal colosso del lusso Lvmh.
L’area verde dei Bastioni fra sporcizia e degrado non è certo il green che vogliamo per la città. Possibile che quella piazza dei Mercanti a due passi dal Duomo, l’unica piazza dal sapore medievale di Milano, dove sono esposte le 19 lapidi con i 1739 nomi dei partigiani caduti, è possibile che la sera, soprattutto, diventa terra di nessuno fra bivacchi, risse, atti vandalici, rifiuti? Dehor di bar e ristoranti hanno invaso Milano. Intanto si aggrava il bilancio dei ciclisti investiti e uccisi nei tratti urbani. Personalmente sono favorevole al maggior numero di piste ciclabili possibile. Ma una pista come quella di Viale Tunisia non piace a nessuno. Neanche ai ciclisti.”
# Insomma Milano non ti piace più
“Avevo sempre pensato che da qui non me ne sarei mai ma da qualche tempo non la riconosco più. ”
# Milano stenta a trovare la sua anima?
“Forse c’è da lamentarsi meno che in altre città, ma Milano pare a un bivio. Da un lato, la città è tornata a muoversi, i cantieri non si fermano, gli investimenti si moltiplicano, sono tornati i turisti. Dall’altra, ci sono segnali nuovi e preoccupanti che ci parlano di quel mix di povertà e ignoranza che, non raramente, diventa disagio, solitudini, microcriminalità, malaffare. Milano è la città dove avvengono più scippi e rapine. Crescono le baby gang. In Corso Como c’è una movida pericolosa, fra furti e rapine di lusso ai malcapitati che frequentano i locali. Una zona che neanche in regalo lo voglio un monolocale lì. Il problema esiste e non va sottovalutato.”
# A Zuzzurro cosa diresti?
“A te non piaceva la confusione. Quindi non venirci, a Milano, rimarresti deluso. Vieni anche tu a Peschiera Borromeo.”
Continua la lettura con: PIERO MAZZARELLA, personaggio simbolo di una Milano che non c’è più
CRISTINA TIRINZONI
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