Nato ad Alessandria, ha studiato a Torino, ha vissuto molto a Bologna ma è a Milano che è diventato davvero grande.
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Quando Umberto Eco arrivò a Milano
# Da contadino a intellettuale: una vita in trasformazione
Quando Umberto Eco arrivò a Milano, bazzicando tra il Giamaica di via Brera e il Blu Bar di Piazza Meda, si vantava di essere un provinciale della “periferia” meridionale del Piemonte. Ben presto si accorse che nella metropoli, “capitale morale” d’Italia, l’atteggiarsi troppo da “contadino” che ce l’ha fatta a diventare un raffinato intellettuale, alla lunga non paga. Così nelle chiacchierate a base di scotch whisky o Martini Dry, con il filosofo Enzo Paci, il pittore Enrico Baj, piuttosto che con il musicista Luciano Berio, Eco si affrettava a vestire i panni di chi è abituato a destreggiarsi nei salotti delle grandi città, parlando più dei propri vissuti torinesi (dove si era laureato in Filosofia nel 1954, ovviamente con lode) che delle origini alessandrine.
93 anni fa (il 5 gennaio 1932) nasceva Umberto Eco, da papà Gino e mamma Rita Bisio: da giovane era iscritto all’ Azione Cattolica, poi divenne un riferimento per la sinistra. In principio fu estimatore di San Tommaso d’Aquino (ci ha fatto pure la tesi di laurea), successivamente passa all’ateismo più convinto. Umberto Eco non ha mai smesso i panni di colui che si forma e si trasforma, in un dinamismo a cavallo tra l’ingenuità di un provinciale e la furbizia dell’intellettuale. Eco, a quasi nove anni dalla scomparsa, rimane un punto di riferimento indelebile nella cultura, italiana ed internazionale.
Nacque ad Alessandria, da bambino frequenta l’oratorio di San Francesco, per le superiori sceglie il Liceo Classico della propria città, fino a pochi anni fa dedicato all’astronomo “Giovanni Plana” e oggi intitolato allo stesso Eco. Poi andò a Torino a studiare filosofia, sotto la guida di Luigi Pareyson, uno dei maggiori filosofi italiani del ‘900. Il primo libro Umberto Eco lo scrive all’età di 24 anni, riprendendo la tematica della tesi di laurea su San Tommaso e l’estetica. Nel 1954 entra alla Rai, come cronista, ma avendo l’incarico di creare una televisione in grado di offrire un prodotto innovativo e moderno, fa parte del team che studiava e pensava i programmi da offrire ad un’Italia in ricostruzione.
# Il Nome della Rosa
Quando Umberto Eco arrivò a Milano era la fine degli anni cinquanta, prese casa in via Luigi Canonica, il suo alloggio era spesso adibito ad eventi mondani e all’intrattenimento goliardico, ora cazzaro ora radical-chic. Nel capoluogo meneghino entra in contatto con Valentino Bompiani, che lo assume nella omonima casa editrice: Eco ne diventerà anche condirettore editoriale e ci lavorerà per circa vent’anni. E’ il periodo in cui diventa uno dei maggiori rappresentati dell’avanguardia letteraria e artistica. Grazie a lui viene aperto il Dams a Bologna: è il 1971 e sentire parlare di “discipline della arti, della musica e dello spettacolo” in una università, appare rivoluzionario. E forse lo era sul serio. Come innovativa fu l’introduzione, sempre grazie ad Eco, del corso di laurea in Scienze della Comunicazione. Umberto Eco fu giornalista (L’Espresso, Il Giorno, La Stampa, Il Corriere della Sera…), scrittore (Il nome della rosa, Il Pendolo di Foucault, Il Cimitero di Praga, Baudolino…), intellettuale capace di offrire un contributo prezioso nelle tematiche politiche di almeno mezzo secolo.
Tornando a Bompiani, nel 1980 da Milano parte la pubblicazione delle prime 30 mila copie del romanzo “Il nome della rosa”, che a distanza di un po’ di anni arrivarono a 50 milioni in tutto il mondo, tradotte in quaranta lingue.
Quaranta, come le lauree honoris causa assegnate ad Eco da università europee e americane. Esperto di estetica e semiotica, considerava quest’ultima “la riflessione più profonda sull’essere umano come animale che interpreta il mondo…l’animale umano ha la capacità di pensare e comunicare l’assenza. Questa è la radice della semiotica”.
# Eco a Milano
Umberto Eco morirà a Milano nel 2016, il 19 febbraio. Un tumore al pancreas lo affligge nel 2014, per spegnerlo in questa nostra città che lui adottò come il luogo più adatto alla propria dimensione.
In fondo a Milano ha scritto, ha riflettuto, ha dialogato, ha insegnato, si è evoluto, ha vinto, ha amato e si è divertito. Ad Alessandria è nato, ha studiato fino ai 19 anni, in una scuola che ora è dedicata a lui, ma quanta fatica per far accettare agli alessandrini di cambiare il Liceo “Giovanni Plana”, in “Umberto Eco”. Nelle poche volte in cui tornava nella terra natia era seguito da un codazzo di politici e giornalisti che gli dispensavano cortigiane adulazioni, ridendo servilmente alle sue annoiate e stanche battute sui suoi antichi ricordi goliardici, ma gli alessandrini, in generale, Eco non lo hanno mai particolarmente amato. Un po’ come un altro alessandrino adottato da Milano: Gianni Rivera.
Ultimamente l’intellettuale si era spostato nel palazzo storico di Piazza Castello al n. 13, luogo davanti al quale fanno tappa tanti turisti. Il funerale fu cerimoniato laicamente al Castello Sforzesco, mentre le ceneri riposano al Cimitero Monumentale.
FABIO BUFFA
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