A 11 km da Venezia c’è un posto, nella Laguna Veneta che racchiude tutti i colori dell’arcobaleno e i decori della schiuma delle onde.
Perché BURANO è così STRAORDINARIA
Quando ero bambina, mia madre mi raccontava spesso del suo viaggio di gioventù a Venezia, delle sue calli strette e del caldo d’agosto da cui difficilmente si trova ristoro, ma uno dei racconti più variopinti era quando parlava della piccola isola di Burano.
Moltissimi anni dopo, quando vi misi piede per la prima volta, quei ricordi smisero di avere i toni seppiati del tempo della memoria e ritrovarono i colori sgargianti delle iconiche case buranelle.
# L’isola dei mille colori
Burano si trova a 11km a nord-est da Venezia, alle quali è collegata tramite percorsi navigabili in soli 45 minuti di vaporetto pubblico. La popolazione attuale dell’isola è di meno di 3000 abitanti per poco più di 200 mila m²; essendo così piccina, per visitarla si impiegano poche ore, ma la visita ne vale la pena.
Visitando Burano, infatti, non si può non rimanere affascinati dai suoi mille colori, dalle case vivaci che si riflettono nelle acque dei canali, dal campanile storto, dalla tranquillità che vi si respira, e dalla calma con cui le anziane signore ricamano l’originale merletto al tombolo. L’isola è una piccola oasi che sembra la perfetta ambientazione per una favola.
# Per riconoscere casa nei giorni di pesca nella nebbia
Le casette colorate sono forse il motivo che più spinge le persone a visitarla, e sono anche il ricordo che più resta impresso quando si lascia l’isola. Storicamente, le case erano dipinte con colori differenti per delimitarne la proprietà; tuttavia, la leggenda vuole che in passato i pescatori avessero colorato le loro case di colorì sgargianti per differenziarle le une dalle altre e poterle riconoscere da lontano anche nei giorni di nebbia, rientrando dal mare dopo la pesca.
# La storia di Burano
Burano, o la Boreana, deve il nome ad una delle porte di Altino, da cui venne fondata. Si dice che gli abitanti di Altino, per sfuggire alle invasioni barbariche, trovarono rifugio nelle piccole isole della laguna, dando loro il nome delle sei porte della loro città: Murano, Mazzorbo, Torcello, le ormai scomparse Ammiana e Costanziaco, e—ovviamente—Burano. Quando, fino al XV secolo, Torcello era una città, Burano ne era un vicus, ovvero una borgata.
Il nome deriva da “Porta Boreana”, cioè di Nord-Est, direzione da cui soffia la bora. Il centro abitato di Burano si divide tutt’oggi in cinque frazioni collegate da ponti: San Martino Destro, San Martino Sinistro, San Mauro, Giudecca, e Terranova, separate tra loro dai rispettivi canali: Rio Ponticello, Rio Zuecca e Rio Terranova.
Fin dai tempi della Repubblica di Venezia, la popolazione di Burano viveva prevalentemente di pesca e di agricoltura. Successivamente, grazie all’abilità delle merlettaie, Burano cominciò a crescere e a farsi conoscere non solo in laguna, ma anche nei paesi stranieri. Sebbene la lavorazione del merletto a Burano sia la principale attrazione per quanto riguarda la manifattura artigianale, la lavorazione del vetro a lume, tecnica nata nella vicina isola di Murano, è molto diffusa anche nelle altre isole della laguna, e passeggiando per le calli, non è infrequente trovare piccole botteghe dedite alla creazione di opere in vetro.
# Le leggende di Burano
Non v’è cultura tradizionale senza un po’ di folclore, e non v’è folclore senza leggende.
Si è già accennato alle storie secondo le quali i marinai dipingessero le loro case per ritrovarle nella nebbia, ma Burano ne racchiude molte altre.
Una, riguarda i Santi Patroni dell’isola di Burano. Si racconta che intorno all’anno Mille una cassa di pietra giunse sulle rive di Burano. Dove la forza di tutti gli uomini dell’isola fallì, l’innocenza di quattro bambini riuscì a portarla a terra, e al suo interno vi trovarono i corpi di S. Albano, S. Domenico, S. Orso, e un barilotto di vino: il Bottazzo di S. Albano. Da quel momento i tre santi, insieme alla già venerata Santa Barbara, divennero i patroni dell’isola. Ma non c’è storia senza conflitto: la leggenda prosegue raccontando dell’acre invidia dei muranesi, che rubarono il Bottazzo ritenendolo miracoloso; oggi infatti, la bottiglia di vino è custodita nella chiesa di S. Donato a Murano.
Ancora, leggenda nella leggenda, c’è la storia secondo la quale il braccio d’oro di Sant’Albano, che ne costituirebbe la reliquia, venne fuso durante gli anni della peste per far fronte alle spese, e sostituito da un braccio in rame che però, nel tempo, ne rivelò l’inganno. Per questo, fu chiamato “il braccio di pegola”, termine con cui i veneziani e i muranesi, schernivano gli abitanti dell’isola.
Infine, un ultimo mito riguarda la lavorazione del merletto. C’è chi dice, infatti, che tutto nasca da un giovane pescatore promesso sposo che, come un Odisseo lagunare, riuscì a resistere all’ammaliante canto delle Sirene. Come premio per la sua dedizione, la regina delle sirene, gli regalò un velo nuziale fatto con la spuma del mare. Quando la sposa indossò il velo, la sua bellezza suscitò l’invidia delle donne dell’isola, che tentarono di imitare il dono delle sirene utilizzando ago e filo, creando il merletto.
Fonte: Isola di Burano, Paesi Online.
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GIADA GRASSO
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