Quei piatti milanesi che i milanesi non conoscono

La stragrande quota dei milanesi non ordinano, non consumano e non sanno nemmeno cosa siano diverse leccornie meneghine. Come queste tre

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Si dice che ogni scarrafone è bell’a mamma soja. Ma a Milano no. Perché la città ambrosiana, che si fa lustro di essere oltre che capitale del design anche del “food”, sottovaluta, ignora, non prende nemmeno in considerazione diversi sui piatti tipici, nati nella notte dei tempi e arrivati fino a noi di mano in mano, di racconto in racconto, di massaia in massaia.

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Quei piatti milanesi che i milanesi non conoscono

Tutti conosciamo il risotto alla milanese, magari nelle versione extra lusso con l’ossbüs ed anche la superlativa gremolada (lo sapete cos’è vero?). Chi poi non ama alla follia la cotoletta, o costoletta, o orecchia di elefante, chiamatela come volete. Ce ne sono versioni alte e basse, di vitello o di maiale, ultra croccanti o solo leggermente panate, burrose o più asciutte e light. E poi ancora cassoeula e panettone, mondeghili, la büsecca e riso al salto. Tutti li conoscono e tutti (forse esageriamo, diciamo tanti) li apprezzano e li richiedono nei ristoranti, trattorie o nei ritrovi gastronomici familiari più tradizionalisti.
Ma la stragrande quota dei milanesi non ordinano, non consumano e non sanno nemmeno cosa siano diverse leccornie meneghine. Come queste tre.

#1 Ris in cagnòn

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Non è un risotto, non è una minestra. È un riso bollito, versione povera e popolare. Quando non c’era brodo buono per il risotto e nemmeno verdura adatta per il minestrone di riso, nelle vecchie cucine milanesi, quelle meno abbienti e facoltose, si optava per massimizzare il gusto con quello che si aveva. Ovvero il riso, bollito e scolato. E a parte burro, burro, burro. Fritto in padella con la salvia, anche detta erba savia. Questa era spezzettata e lasciata “andare” fino a farla diventare scura e croccante, somigliante a dei piccoli vermicelli (cagnotti, in milanese cagnòn). Una volta condito il riso e spolverato di grana (e non certo parmigiano) la pietanza va servita.

#2 Rustisciada

Ph. @la_cesarina_lorenza_a IG

Ricorda nel nome la rosticiana toscana. Ma qui la denominazione inganna. Perché non è un piatto arrosto, bensì in umido. Si tratta di un secondo piatto a base di carne di maiale, solo lonza e salsiccia, e tanta tanta tanta cipolla. Il tutto tagliato a dadini e cotto per un paio d’ore con vino rosso e polpa di pomodoro. Risultato finale è una sorta di spezzatino “rosso” con una crema dolcissima formata dal connubio vino-cipolla.

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#3 Brüscitt

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Pur essendo di origine bustocco-legnanese, possiamo considerare i brüscitt un piatto tipico milanese dimenticato. È un secondo, anche in questo caso un umido (umido ma non troppo), a base di ritagli, bruscolini (da cui il nome) di carne di manzo. Mentre i tagli nobili del bovino adulto erano destinati alle tavole aristocratiche e ai sciur, i macellai erano soliti tagliare al coltello i rimasugli dei carni avanzate. Mi raccomando, il taglio deve essere al coltello e mai a macchina, altrimenti si perderebbe oltre che il sapore anche tutta la poesia. E la cottura? In un grande tegame coperto, il tutto condito con vino rosso e semi di finocchio. Il segreto per mantenere la giusta umidità al piatto finale è non aggiungere mai liquidi in cottura ma solo ed esclusivamente burro.

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STEFANO CORRADA

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Stefano Corrada
Una vita saporita, tra reazioni di Maillard, prodotti alimentari e racconti di gusto. Dopo la laurea scientifica, vince la passione per tutto ciò che ruota intorno al cibo. E, quindi, prima la divulgazione tecnico-nutrizional-gastronomica. Poi la scrittura, attraverso collaborazioni giornalistiche e fotografiche con periodici e guide, tra cui Focus, Il Golosario, Viaggi del Gusto e Agrodolce.it. In mezzo un libro, edito da Jouvence, dal titolo "Appunti Golosi".